Come si misurano i tempi del lutto?

luttoHo scelto di condividere un articolo sui tempi del lutto scritto dal dottor David Servan Schreiber, psichiatra, uscita sulla rivista Psychologies nel febbraio 2005.

Lynne sta soffrendo e chiede aiuto, La storia che racconta è tragica: una sera, intorno alle 18, il suo bebè di 10 mesi ha febbre, sembra che stia molto male. Al telefono, dopo qualche domanda rapida e precisa, il pediatra la rassicura: “non sembra cosi grave. Un po’ di tachipirina per la notte, poi vediamo domattina”. Ore 23. Non sta meglio, Lynne fa fatica a fargli aprire gli occhi. Nonostante la tarda ora, decide di richiamare il pediatra a casa sua. Palesemente infastidito di essere stato disturbato a casa, le risponde seccamente che non sembra vi siano cambiamenti significativi. Deve ridargli un po’ di tachipirina e lo visiterà l’indomani mattina in ambulatorio, alle nove.  Lynne non è stata molto tranquillizzata, rinuncia ad andare al letto e si sistema in una poltrona del salone per tenere suo figlio sotto controllo. È accovacciata sul suo petto, le accarezza la schiena, sente il suo soffio troppo caldo sul suo grembo. 5 del mattino. Si risveglia di soprassalto, furiosa per essersi addormentata. Tra le sue braccia, scopre il suo bambino morto.

Da quel momento in poi, Lynne non dorme quasi più. Le rare volte in cui riesce a prendere sonno, è svegliata dagli incubi. Di giorno, le immagini di quell’ultima notte con suo figlio la perseguitano, stringendole la gola e la pancia. Si rimprovera per essere stata una cattiva mamma –perché non l’ha portato in ospedale nonostante l’opinione del pediatra?-, si sente incapace di vivere con questo dolore. A volte, sente la mano di suo figlio nella sua, il suo respiro sul suo viso. Ha paura di impazzire, e finisce con il consultare uno psicoterapeuta.

La diagnosi è facile: si tratta di un lutto traumatico. La risposta meno. Se Lynne stesse soffrendo da due anni, nessuno esiterebbe a curarla per aiutarla a superare il suo dolore e ricominciare a vivere. Se fosse solo da sei mesi, alcuni si farebbero qualche domande: ha sofferto abbastanza a lungo? E se fossero soli tre mesi? Nel caso di Lynne, erano passate solo tre settimane. Bisognava rimandarla a casa con la sua sofferenza? “Mi dispiace, Signora. Quello che sta vivendo è una reazione di lutto, occorre lasciare il tempo di fare la suo opera. Non ha sofferto abbastanza a lungo perché io possa aiutarla. Ritorni quando il suo dolore si sarà protratto per almeno sei mesi…”

Chi deve decidere della durata della sofferenza altrui ? Sappiamo oggi che meno di otto sedute di EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) permettono di alleviare i sintomi del lutto traumatico in oltre 80% dei casi  (Sprang G., in Research on Social Work Practice, 2001. Et Wilson S., Becker L. and Tinker R., in Journal of Consulting and Clinical Psychology, 1997). Perché negarlo a chi sta soffrendo? Un terapeuta ha moralmente il diritto di rifiutarsi di trattare chi sta chiedendo aiuto?

I pazienti che hanno perso un caro hanno il sentimento che la loro sofferenza è un modo di onorare il suo ricordo. Ma dopo alcune settimane, che cosa avrebbe voluto il figlio di Lynne per sua madre? Al termine delle sedute di EMDR, è stata la stessa Lynne a trovare la risposta: “ Non sono più bloccata sulle immagine orribile di quell’ultima notte con lui. Quello che rivedo, sono tutti i nostri momenti di tenerezza e di dolcezza. Sono grata per tutto quello che mi ha dato prima di andarsene.” Poi pone la sua mano sul suo grembo: “ Oggi è in pace, e sento la sua presenza nel mio cuore. Non lo dimenticherò mai, sarà sempre con me. La mia vita può andare avanti…”

Bisognava aspettare sei mesi?

Traduzione Ingrid Hugnet