Che cosa fa lo psicologo? Un corto animato lo spiega!

Condivido qui questo bellissimo corto che descrive molto bene il lavoro dello psicoterapeuta. L’empatia, la relazione terapeutica, il transfert,  descritti senza parole ma con delle bellissime immagini.

Mostra anche che neanche lo psicologo  è immune dalla sofferenza e che anche lui giova dell’aiuto di un terzo.

Illuminante!

EMDR: una terapia breve per curare il trauma e non solo

Il metodo EMDR è una terapia breve, per curare in poche sedute i disturbi legati ai traumi, questa cura non viene applicata soltanto dopo un evento grave, ma può essere utilizzata per piccoli traumi, come nel caso di esperienze spiacevoli che lasciano nella mente un ricordo carico di sofferenza.

emdrChe cos’è l’EMDR?
L’EMDR è una tecnica nata negli anni ’80 in America, originariamente per curare il trauma, ma successivamente allargata anche al trattamento di problematiche diverse , come i disturbi d’ansia, la depressione, o gli attacchi di panico. L’acronimo EMDR, può essere tradotto con “desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari”. Questa nuova terapia, che è stata l’oggetto di numerose ricerche, per verificarne l’efficacia, consente di ottenere una maggiore integrazione di eventi di vita difficili. L’OMS ha recentemente riconosciuto ufficialmente l’EMDR come un trattamento particolarmente efficace per il trattamento di traumi psicologici e del disturbo post traumatico da stress.

A chi serve l’EMDR ?
La terapia EMDR è indicata per qualsiasi persona che soffre a seguito di un’ esperienza traumatica di diverso genere.
Può trattarsi di un trauma “evidente”, con la T maiuscola, come aver assistito ad un incidente, avere subito abusi o un lutto, essere colpito da una catastrofe naturale come un incendio, un terremoto.
Ma è anche indicata per chi ha avuto eventi di vita difficili o traumi con la t minuscola, i quali possono passare inosservati ed essere fonte di emozioni o comportamenti eccessivi (carenze affettive di cui si è sofferto da piccoli, propri comportamenti per cui ci si sente in colpa, aborto spontaneo, insuccessi scolastici o lavorativi, delusioni amorose). Queste difficoltà si esprimono con forme diverse ad esempio irritabilità, ansia, incubi, tendenza all’isolamento, stato depressivo, dolori somatici. Altri disturbi psicologici dipendono anche, in alcuni casi, da traumi più o meno recenti, a volte inconsci: depressione, dipendenze, disturbo del comportamento alimentare, attacchi di panico, fobie.
Questi disturbi compaiono quando il nostro cervello è stravolto da un choc traumatico e non riesce a trattare ed elaborare le informazioni come lo fa normalmente. Il ricordo dell’evento è in qualche modo congelato e non può di conseguenza integrarsi con le altre esperienze e conoscenze di cui la persona potrebbe servirsi, mantenendo quindi intatta la loro carica emotiva negativa.

Come funziona la terapia breve EMDR?
Dopo alcuni colloqui preparatori, il terapeuta chiede al paziente di concentrarsi su un’ emozione o su un ricordo sgradevole. Successivamente inizia un protocollo di intervento che prevede una stimolazione bilaterale che può consistere in un tamburellamento sulle ginocchia del paziente (tapping) o un movimento delle dita da seguire con gli occhi. Tra ogni serie di stimolazione, il paziente è invitato a notare i cambiamenti emozionali all’opera nel suo corpo e le immagini che sorgono. Sembra che queste stimolazioni bilaterali permettono di collegare i due emisferi del cervello. Attraverso la stimolazione bilaterale, i circuiti della memoria vengono riconfigurati in modo che il ricordo traumatico non sia più doloroso, e che la sua evocazione non scateni più emozioni negative. Le stimolazioni bilaterali consentono una riduzione immediata della carica emozionale legata alla situazione sgradevole.

Come professionista ritengo che l’EMDR rappresenti una valida opportunità nella cura rapida dei disturbi traumatici e che possa anche essere inserita all’interno di un percorso terapeutico tradizionale come ulteriore risorsa.

4 ragioni per cui internet aumenta l’ipocondria: la cybercondria

L’ipocondria è una problematica nota, ma la facilità di accedere a informazioni mediche su internet favorisce l’emergenza di un nuovo fenomeno la cybercondria.

“Dottoressa, sono tre giorni che mi misuro la pressione e ce l’ho sempre alta, ho controllato su internet, anche se sono giovane può essere che abbia comunque bisogno di un farmaco?” “ Soffro di bruciore di stomaco, ho letto su internet che è uno dei sintomi del morbo di Crohn, sarà il caso che faccia degli accertamenti?”. Sono sempre di più i pazienti che incontro nel mio studio di psicoterapia ad Amelia (Terni), che vengono per un problema di ansia o di attacchi di panico, e che dopo essersi documentati su internet, iniziano a convincersi di avere questa o quest’altra patologia.

cybercondriaMa vediamo qual è sono le origini dell’ipocondria L’ipocondria è una maniera di « rappresentare l’angoscia, di legarla ad un oggetto, poiché un pericolo localizzato ed evidenziabile come un cancro è più facile da sopportare rispetto ad un pericolo costante e diffuso. Si può spesso ricostruire l’origine dell’ipocondria nella storia personale. Spesso chi ne soffre ha avuto delle carenze affettive precoci, un lutto, una separazione. Altri avevano genitori ansiosi o iperprotettivi che portavano i figli dal medico per motivi futili, generando in loro un sentimento di vulnerabilità e d’insicurezza verso il proprio corpo.

 

L’ipocondria potrebbe anche essere letta come una mancanza di autostima. Si sceglie la malattia, la quale è una forma accettabile di fallimento, per nascondere un sentimento profondo d’impotenza e di annientamento. Le angosce ipocondriache sono tra l’altro abbastanza frequenti nell’adolescenza e nella menopausa, perché questi periodi si rimette profondamente in discussione se stessi e la propria immagine.

 

Un fenomeno nuovo : LA CYBERCONDRIA.

L’ipocondria è la malattia più vecchia del mondo, poiché era già conosciuta dagli Antichi Greci, ma con l’avvento di internet potrebbe diventare il male del secolo. I numeri parlano chiaro: 7 persone su 10 controlla su internet prima di andare dal medico e 85 % degli italiani sarebbe andato almeno una volta su internet allo scopo di trovare informazioni mediche. Il fenomeno viene chiamato cybercondria: l’ansia generata dalle ricerche di salute in internet.

Perché internet favorisce l’ipocondria?

  1.  oggigiorno qualunque domanda ci poniamo, ne cerchiamo la risposta online: dal nome di un regista alla ricetta del piatto che vogliamo cucinare a cena. Internet accorcia i tempi, molto spesso è un aiuto valido. Poiché risponde a tutti i nostri quesiti, non c’è da stupirsi se lo utilizziamo anche quando abbiamo un dubbio sulla nostra salute.
  2. Le risposte che troviamo su internet sono spesso molto tecniche, tendiamo quindi a concentrarci maggiormente sui racconti che troviamo nei forum come doctissimo . Spesso però le storie che leggiamo anziché rassicurarci, sono fonte di preoccupazioni ulteriori. In effetti tendiamo a concentrarci maggiormente sulle descrizioni di casi gravi, con tante complicanze, che sulle storie a lieto fine.
  1. Paradossalmente, il peggiore nemico dell’ipocondriaco è l’eccesso di informazione. Se un soggetto si convince di avere una malattia, inizierà a presentare anche i sintomi che finora non aveva, ma che ha letto su internet. Facciamo un esempio, Paolo è convinto di avere i primi sintomi di una meningite: ha un torcicollo e un po’ di emicrania. Dopo essersi documentato sui segni della meningite, sente che la luce gli da fastidio e ne deduce che si tratta di fotofobia, altro sintomo della meningite. Ecco come un piccolo stato influenzale può prendere delle proporzioni allarmanti.
  2. L’assillo dei media: la televisione, la radio danno uno spazio sempre maggiore alle notizie che riguardano la salute. Cibi pericolosi, vaccini che provocherebbero l’autismo, prodotti che contengono sostanze pericolose , (ogm, paraben…), per non parlare delle grandi epidemie : influenza aviaria, H1N1, ebola, siamo continuamente tartassati da notizie che ci spingono ad andare a cercare delle delucidazioni online. Questa onnipresenza delle questioni di salute sui media è uno dei fattori che ha portato molti ipocondriaci potenziali, a diventare dei veri e propri ipocondriaci.

Come curare la cybercondria?

Una psicoterapia permetterà di capire le cause dell’ipocondria e di trovare i modi per combatterla, ma tuttavia seguire questi semplici consigli potrebbe limitare i comportamenti cybercondriaci.

  1. Nelle ricerche online, limitarsi nella scelta delle parole chiave a dei termini generici e evitare di associarle ad una patologia. Per esempio digitando « mal di testa » insieme a « tumore al cervello », è probabile che i risultati faranno pensare che i tumori sono una delle cause maggiore del mal di testa.
  2. Verificare la fonte dell’articolo, la sua data di pubblicazione e la certificazione che il sito aderisce all’ HONcode, una serie di linee guida proposte dalla fondazioneHealth On the Net ai siti web che trattano materie inerenti alla salute e alla medicina , che garantiscono all’utente, un certo livello di affidabilità e di imparzialità delle informazioni pubblicate;
  3. Finché la vostra malattia non è stata diagnosticata da un medico, evitate i forum di discussione, che contribuiranno ad aumentare il vostro disagio e le vostre paure. Vi si trovano soprattutto testimonianze di persone che stanno male e poche risposte ai propri dubbi.

Il mio bambino morde: cosa fare?

Molti genitori si preoccupano  quando si confrontano con  questo atteggiamento, che reputano anormale. Occorre tuttavia sapere che a quest’età il bambino che morde ha un comportamento normale, perché costitutivo del suo sviluppo psico-affettivo. È un modo di entrare in contatto con l’altro e di reagire di fronte ai divieti e quindi alla frustrazione.

Il fatto che si tratti di un comportamento normale non significa che non si debba intervenire e cercare di porre dei limiti al bambino. È anche molto importante  non dare giudizi sul bambino  come “Sei cattivo” ma insistere sul divieto legato al gesto del mordere, per mantenere la sicurezza di sé e la sua autostima.morso bimbo

Come genitore ed educatore, il nostro compito è di insegnare al bambino che è vietato mordere spiegandogli il perché. Occorre sottolineare il divieto e dire al piccolo  che in alcune situazioni è autorizzato ad essere arrabbiato, ma non può mordere.

Il genitore deve spiegare al piccolo che può mordere un oggetto, ma non una persona perché fa del male. E importante tenere presente che un conto è mordere un giocattolo (un comportamento ancora tipico per la fascia d’età) e altra cosa è invece dare un morso a un essere vivente. Questa differenza deve essere compresa bene anche dal bambino.

Il morso non è legato soltanto alla rabbia ma può anche essere l’espressione di un eccesso di emozioni che il bambino non sa ancora esprimere attraverso le parole. Si vedono spesso scene in cui bambini intorno all’anno di età abbracciano un altro bambino o un adulto e poi  lo mordono. Questi comportamenti disturbano  ma non sono anormali. Il bambino vive delle emozioni che non è  ancora in grado di gestire sia per quanto riguarda la sua maturità affettiva sia a livello linguistico. Per i genitori  quello che serve è aiutare il bambino mettendo delle parole alle sue emozioni, ribadendo il divieto. E anche importante  valorizzarlo quando fa bene qualcosa. E’ un modo per aiutarlo ad evolversi, a crescere e a socializzare.

In genere, se si opera in tal modo e si  cerca di non drammatizzare eccessivamente la situazione, questi comportamenti scompaiano abbastanza velocemente.

Se dura nel tempo e si accompagna ad altre manifestazioni di aggressività, occorre capire quello che sta succedendo. In quel caso, bisogna cercare di comprendere se il bambino sta vivendo qualcosa di difficile per lui in quel momento, se ci sono degli eventi che potrebbero turbarlo ( trasloco, gravidanza, nascita) e che potrebbero essere la causa di questo comportamento. Tuttavia, è necessario mantenere i limiti e continuare a marcare il divieto di mordere per aiutare il bambino ad evolvere e verbalizzare quello che prova. Può essere utile parlarne con il pediatra o uno psicologo.

Inoltre, possiamo aiutare il piccolo a capire meglio quello che sta vivendo insegnandogli a riconoscere le proprie emozioni attraverso dei libri adatti alla sua età.

Si possono anche proporre dei  giochi motori  (gioco con la palla, colpire un tamburello) i quali aiutano il bambino a spostare la sua aggressività scaricandola e utilizzando quest’energia in maniera positiva.

 

Nouveau service: psychothérapie en ligne pour français expatriés

Française expatriée en Italie, je propose aux français expatriés qui souhaitent effectuer une thérapie en français, des entretiens en ligne. Je m’adresse en particulier à toutes les personnes expatriées qui souhaitent rencontrer un thérapeute francophone mais qui ont du mal à le trouver sur place, mais aussi aux patients qui voyageant fréquemment , n’ont pas la possibilité d’effectuer une psychothérapie traditionnelle en cabinet. Internet permet d’offrir des consultations en ligne en recréant un cadre accueillant.

Nuovo servizio: consulenza online per francesi residenti all’estero.

Nasce il nuovo servizio di psicoterapia online per quei pazienti che non vogliono effettuare un percorso psicoterapeutico nella loro lingua madre e che non riescono a trovarlo in loco.

Questo servizio ha come obiettivo di dare supporto psicologico:

  • a persone francofone che si trovano all’estero e hanno difficoltà nel reperire sul posto un ascolto nella propria lingua madre
  • ai francesi che vivono all’estero e vogliono parlare con uno psicologo del loro paese di origine
  • a chi viaggia molto e non riesce a dare continuità ad un lavoro psicologico tradizionale.

La depressione dell’anziano

anziana-sedutamueckLa depressione è diversa negli anziani ?

I sintomi di depressione più frequenti negli anziani sono la perdita di energia, una diminuzione dell’interesse per le attività del tempo libero, un aumento dei dolori fisici e delle perdite di memoria.

Chi è colpito?

Anche se la depressione non è sempre associata all’invecchiamento, un numero importante di persone anziane soffrono di depressione. Dai 15 ai 20% degli anziani presentano i sintomi di una depressione.

Quali sono i problemi associati alla depressione?

La depressione è un aggravante dei disturbi somatici dell’anziano, diventa per esempio più complesso riprendersi dopo una frattura del femore o un ictus. L’anziano è meno attivo e autonomo se è depresso e questo può favorire un decadimento fisico anticipato.

La depressione aumenta da due a tre volte il rischio di decesso nell’anziano ed è la maggiore causa dei suicidi in questa fascia di età.

Perché la depressione dell’anziano viene spesso sottovalutata e/o non trattata ?

La depressione può essere difficilmente diagnosticata negli anziani, perché sono poco disponibili a parlare dei loro sintomi ed gli è difficile riconoscere che provano una sofferenza psicologica, e si aprono di più sui sintomi fisici.

Quali sono le cause della depressione nell’anziano ?

Alcuni anziani depressi hanno già avuto un episodio depressivo e altri affrontano la depressione per la prima volta nella terza età. I fattori di rischio sono gli stessi della popolazione adulta in generale. I fattori che possono favorire l’insorgere di una depressione nell’anziano sono la perdita di controllo o di autonomia a seguita di una malattia o di un invalidità oppure un crescente isolamento sociale.

Trattamento della depressione nell’anziano

I trattamenti per lottare contro la depressione hanno la stessa efficacia negli anziani che nella popolazione generale. La psicoterapia, gli psicofarmaci, i gruppi di sostegno sono alcune delle soluzione per curare i sintomi depressivi. Tuttavia, la presa in carico degli altri disturbi somatici quali il dolore cronico che coesistono con la depressione non deve essere dimenticato.

La psicoterapia nell’anziano

Diversamente da quanto Freud e i suoi discepoli hanno affermato a lungo, non è mai troppo tardi per iniziare una psicoterapia. Freud considerava che dopo i 50 anni, era troppo tardi, gli anziani erano secondo lui troppo poco malleabile. Invece sembra che sia vero il contrario, poiché gli anziani che intraprendono una terapia sono spesso molto motivati, sono consapevoli che il tempo a loro disposizione è prezioso, e non vogliono sprecarlo.

Sono sempre di più le persone ultrasettantene che approdano agli studi degli psicologi. Nella mia attività di psicologa ad Amelia, mi trovo sempre più spesso ad accogliere richieste di sostegno da parte di soggetti anziani. Spesso sono i figli, i quali sono ormai abituati al ricorso allo psicologo, ha proporli un trattamento psicoterapeutico e a facilitare l’accesso.

La psicoterapia del soggetto anziano non è diversa della psicoterapia di un giovane adulto.

Si dedicherà pero un tempo iniziale alla valutazione delle capacità cognitive.

Che cos’è la psicogenealogia?

La psicogenealogia è una terapia sviluppata negli anni 1970 dalla dott.ssa  Anne Ancelin Schützenberger, si basa sul principio secondo il quale il vissuto dei nostri avi potrebbe influenzare la nostra esistenza.

Anne Ancelin-Schützenberger,psicoanalista  francese, ha sviluppato i principi della psicogenalogia mentre lavorava con pazienti malati di cancro. Osservava  nella loro storia familiale delle ripetizioni. Parla di una « sindrome da anniversario ».  Descrive  la sua teoria nel libro La sindrome degli antenati. (Di Renzo editore).

psicogenalogia

Il principio

Questa tecnica terapeutica prende le sue basi nella genealogia. Si tratta di analizzare il vissuto dei propri avi, per scoprirvi le cause dei disturbi di cui soffriamo oggigiorno. Blocchi, disturbi psichici, difficoltà  e anche malattie potrebbe venire dai nostri antenati. I traumatismi si trasmetterebbero in maniera inconscia di generazione in generazione: è l’inconscio familiare.

Per esempio, un uomo che soffre di una fobia dell’acqua, e rifiuta di farsi il bagno nel mare, ha forse avuto un bis-nonno morto annegato.
Gli strumenti
Viene utilizzata la tecnica del genosociogramma, un albero genealogico che ripercorre tutti gli eventi significativi della vita di ciascun ascendente (decessi, incidenti, matrimoni, separazioni, nascite, malattie). Il risultato di questa indagine, consente di evidenziare le ripetizioni tra le generazioni. La realizzazione di quest’albero genealogico richiede un importante lavoro investigativo.

Un oggetto di analisi particolarmente importante è la coincidenza tra le date di nascita, di matrimonio, di morte, di incidente, dei diversi membri del sistema familiare: Schützenberger riscontra infatti la cosiddetta sindrome da anniversario, che si manifesta con l’insorgere di malattie o il verificarsi di incidenti allo scadere di una certa età, o di una data particolare.

Lo studio dell’albero genealogico è corredato da un lavoro terapeutico. Esistono diversi approcci, possiamo elencare quello delle “costellazioni familiare”, inventata dal tedesco Bert Hellinger. Durante una seduta gruppale, viene ricostituita la storia individuale di un paziente, con l’ausilio dei partecipanti  che interpretano i membri chiave della famiglia.

Gli elementi fondamentali della psicogenenalogia sono:

  • il concetto di lealtà familiare:   le relazioni tra i membri di una famiglia sono disciplinate da una legge inconscia e sottile che opera al fine di preservare l’esistenza, l’equilibrio e il benessere della famiglia, fondamentale per la vita stessa della famiglia e lo sviluppo dei singoli individui. Questo principio viene definito “lealtà familiare”. Se la lealtà familiare da un lato svolge quindi un’azione di salvaguardia per i componenti della famiglia, dall’altro lato, potrebbe fungere da un limite ostacolando la piena autorealizzazione di un componente. Il problema si pone quando la lealtà familiare impedisce ai membri nati successivamente di “superare” i membri nati prima, accedendo a un grado di benessere e di successo superiore; e ancor maggiormente quando vengono prolungati nelle generazioni successive i comportamenti distruttivi delle generazioni precedenti.
  • il bambino di sostituzione, ovvero il meccanismo sistemico per cui ai nuovi nati nel sistema viene richiesto di prendere il posto degli elementi mancanti o scomparsi, chiamandoli con lo stesso nome, ad esempio, o sostenendo una proiezione continua (“Sei uguale a tuo nonno, hai gli stessi occhi”);
  • i segreti di famiglia, il non-detto che genera cripte e fantasmi, ovvero sintomi e disturbi psicofisici;
  • la nevrosi di classe, cioè quella forma di lealtà familiare che ostacola l’avanzamento sociale, il successo, il denaro: non sentendosi autorizzati a essere migliori dei propri antenati, si mettono in atto dei meccanismi inconsci di auto-sabotaggio;
  • le alleanze familiari, tese ad escludere alcuni membri del sistema.

Cosa succede nella mente della donna durante la gravidanza?

Si crea uno stato emotivo particolare, chiamato trasparenza psichica, che si incontra soltanto durante la gravidanza. E uno stato in cui la donna è molto più permeabile a quello che accade dentro di se e nel rapporto con l’altro. Dei frammenti dell’inconscio possono arrivare più facilmente alla coscienza. E un momento in cui c’è una grande disponibilità ad aprirsi, a ricordare momenti del proprio passato. Il bambino in grembo spinge la donna a ricordare la propria infanzia, prima ancora di potere pensare al suo bambino, ricorda la bambina che è stata.

Ci sono inoltre diverse tappe psichiche nella gravidanza.

Il primo trimestre è un trimestre particolare, ci sono ancora poche modificazione corporee visibile, ma dal punto di visto psichico è molto ricco. Questa fase viene chiamata quella dell’ incorporazione, inizia con il concepimento fino al momento in cui la donna percepisce i primi movimenti del feto.

In questa fase, la donna sente i disaggi come le nausee legati ai cambiamenti ormonali ma non sente ancora la presenza del feto, e di conseguenza non vi è ancora una rappresentazione del bambino. La donno parla del suo corpo, del suo stato e ancora poco del bambino. In questo primo periodo, la donna si concentra sul proprio passato, sui ricordi della bambina che è stata. Ripercorre la sua storia. Legami passati, quelli con il padre e la madre, vengono risvegliati e rievocati. Possono essere dolorosi o sereni, ma sono sempre presenti. Il rapporto con la propria madre viene particolarmente sollecitato e interrogato. Infatti , è attraverso la propria esperienza relazionale con la madre, la donna si è costruita un idea della maternità.

Occorre aspettare il secondo trimestre perché le donne iniziano a dire qualcosa sul bambino che portano: l’immagine e la rappresentazione del bambino iniziano con la percezione dei movimenti del bambino . E in questa fase che nasce la relazione di attaccamento al bambino. Nel secondo trimestre il bambino inizia ad esistere nella mente della madre ma non è ancora percepito come diverso.

nel terzo trimestre , le donne evocano la paura del parto, del dolore. In quella fase, la donne inizia a prepararsi alla separazione. Gli ultimi mesi vedono il bambino in un ritmo di vita intrauterina diverso di quello della madre: “quando dormo, lui fa festa”. C’è un primo abbozzo di differenziazione tra il feto e la madre, la donna inizia a potere pensare al bambino come un essere diverso da se, con tratti di carattere diversi da se.

In questa fase, l’attenzione della donna si sposta da se stessa, dal proprio corpo come contenitore del bambino, al contenuto ovvero il bambino. Si prepara ad accogliere il suo bambino e ad entrare in sintonia con lui, si sviluppa allora un altro stato psichico particolare, descritto dallo psicoanalista D.W.Winnicott: la preoccupazione materna primaria. Si tratta di uno stato mentale particolare della madre che accoglie il suo neonato adattandosi il più possibile ai suo bisogni. Per creare un ambiente favorevole al bambino, la madre deve sviluppare un ipersensibilità che le consente di usare tutte le risorse della sua empatia per adeguarsi ai bisogni del bambino. La madre sposta l’interesse dal proprio self verso il bebè, e ciò le consente di agire al momento giusto e di capire quello che può sentire il neonato in base ai suoi comportamenti. Questa capacità si sviluppa progressivamente durante la gravidanza e continua durante i primi mesi di vita del neonato. Winnicott ha descritto questo stato come “una malattia normale”.

La gravidanza è dunque un momento di transizione e di maturazione molto impegnativo, tra l’inizio della gravidanza in cui la donna è fortemente concentrata su stessa e sul suo passato, si arriva al termine dei nove mesi ad un attenzione completamente rivolta verso un altro essere diverso da se.