Terzo gruppo allargato a Perugia: uno spazio di confronto (psicologa Amelia)

Sabato 9 aprile si svolgerà a Perugia la terza edizione del gruppo allargato, un nuovo tipo di setting rispetto al gruppo analitico allargato. L’evento è organizzato in un pomeriggio di 3 sessioni di un ore e mezza ciascuna. Il gruppo allargato è uno spazio di incontro per condividere e confrontare opinioni, sogni, pensieri, emozioni, fantasie, storie… senza un tema pre-definito attraverso il dialogo. All’interno di un Gruppo Allargato, condotto da specialisti esperti in dinamiche psicosociali e di gruppo, si può sperimentare che la condivisione e il confronto in gruppo attraverso il dialogo possono contribuire alla costruzione del proprio benessere e di quello collettivo.  Tutti possono partecipare soprattutto coloro che desiderano un confronto aperto attraverso la parola e migliorare le proprie capacità relazionali.

L’evento è organizzato in collaborazione con l’associazione Il Cerchio Gruppoanalisi.

Come funziona concretamente il metodo EMDR?

Un film per capire concretamente il funzionamento della tecnica EMDR.

Spesso i pazienti che incontro nello studio di psicologia ad Amelia, a Terni o a Roma, vogliono capire come  una seduta di EMDR si articola e in che modo questa tecnica agisce sul cervello.

Ho quindi preparato questo video per descrivere lo svolgimento di una seduta e l’azione delle stimolazioni bilaterali sul cervello.

Buona visione.

 

Curare la depressione con l’EMDR ?

cropped-cropped-eye-brain-photo-neuropsych-workshop13.pngL’Emdr è una tecnica terapeutica che funziona anche per la cura della depressione, oltre che per elaborare un trauma? Gli studi dimostrano l’efficacia dell’Emdr nella terapia della depressione.

Che cosa succede quando un ricordo, un trauma, uno o più pensieri ci destabilizzano profondamente, al punto da rovinarci la vita quotidiana, la salute o il sonno?

“ci rivolgiamo ad uno psicologo” “assumiamo antidepressivi”. Si, ed è già molto. Ma a volte insufficiente.

Cerchiamo di risolvere il problema attraverso il linguaggio,  e nel cervello la sede del linguaggio è la neocorteccia. A volte, in alcune depressioni, questa parte del cervello non funziona più in maniera efficace, perché dominata dalla parte emotiva del cervello, l’amigdala.

Questo è il motivo per cui in alcuni casi, si raccomanda l’assunzione di un farmaco per abbassare la carica emotiva, prima di procedere ad una psicoterapia . L’amigdala è un area del cervello che reagisce quando c’è un pericolo: ci evita di pensare e ci consente di attivare tutti i riflessi e le sostanze chimiche (per esempio l’adrenalina) per fronteggiare o fuggire un pericolo. Una volta superato il pericolo, ritorna ad essere “in stand-by”. Ma se l’amigdala continua a funzionare considera il pericolo sempre presente e invade il cervello: siamo così travolti da un’ondata di emozioni, ci troviamo in uno stato di malessere perenne, ovvero cadiamo in depressione.

Questo perché il cervello emozionale (il sistema limbico) dominato dall’amigdala, non comunica più con il cervello prefrontale (la neocorteccia) ovvero la parte del cervello  che deve classificare ed elaborare l’evento, permettendo di assimilare e etichettare l’evento stesso come passato e quindi non più pericoloso.

Lo schema seguente illustra le parti del cervello coinvolte nelle emozioni.

CERVEAU-ET-AMYGDALE

L’EMDR permetterebbe di desensibilizzare i ricordi e i pensieri negativi simulando i due emisferi del cervello per metabolizzare traumi del passato, comportamenti o idee negative. L’EMDR offrirebbe una scorciatoia per eliminare nel profondo i sintomi legati ad eventi passati che non sono stati elaborati dal sistema limbico (che non sono stati metabolizzati psichicamente). Lo psichiatra francese David Servan Schreiber ha descritto questo metodo in modo esaustivo :

“si tratta di stimolare il cervello da destra a sinistra e da sinistra a destra (attraverso lo sguardo, la voce o il tocco) in modo da sbloccare l’evento traumatico rimasto intrappolato nella psiche e di riattivare il naturale sistema di auto guarigione del cervello perché analizzi l’informazione e la “digerisca”

Servan Schreiber afferma anche che: “La terapia EMDR (quando è condotta bene) è molto più efficace, arriva molto oltre e più profondamente della psicoanalisi:attiva un normale processo di guarigione”. Altresì “(…) la terapia EMDR non si sostituisce ad un lavoro psicoanalitico per tutto quello che riguarda una maggiore conoscenza di se a lungo termine. Queste due forme di terapia son tra l’altro spesso utilizzate in maniera congiunta con profitto”.

L’EMDR consente di alleviare il dolore acuto causato da un trauma passato per poi permettere di capire   con un percorso di terapia tradizionale in maniera più approfondita le conseguenze di quell’evento sulla propria vita.

Nel mio studio di psicologa  ad Amelia e a Roma, laddove può essere risolutivo, mi avvalgo della tecnica Emdr associata ad una terapia di orientamento psicodinamico.

Fonte: David Servan Schreiber : Guarire, ed. Pickwick

Autore : Ingrid Hugnet

7 sintomi fondamentali della dipendenza da cocaina

Esistono alcuni segnali chiari per capire se una persona ha sviluppato una dipendenza dalla cocaina, basta presentarne tre per ritenersi dipendente.

La dipendenza patologica è una condizione in cui una persona sviluppa una compulsione
all’utilizzo della sostanza, aumentando la dose e la frequenza d’ uso, pur sapendo dei
gravi effetti collaterali fisici o psicologici e del grave sovvertimento causato alle sue
relazioni personali e al suo sistema di valori.

cocaine
L’Associazione Psichiatri Americani (APA) identifica 7 sintomi fondamentali nella
dipendenza da cocaina.
Una persona deve presentarne soltanto 3 per ritenersi dipendente:

  1. Uso eccessivo o inappropriato di cocaina e altre sostanze.
    Ad esempio: utilizzare sostanze o ubriacarsi e non essere in grado di svolgere le proprie
    attività a casa, al lavoro o con altre persone; sentire di aver bisogno della droga per
    essere adeguato con gli altri, al lavoro o a casa; guidare sotto l’effetto di droga;
  2. Assillo costante ad ottenere o utilizzare cocaina o altre sostanze.
    Ad esempio: vivere solo per usare cocaina, alcol o altre droghe; rendere l’uso di sostanze
    eccessivamente importante nella propria vita; essere ossessionato dall’uso di droga.
  3. Tolleranza ridotta o aumentata per cocaina o per altre droghe.
    Ad esempio: avere bisogno di più cocaina per sballare; sballare con più facilità o con
    meno cocaina che in passato.
  4. Perdita del controllo : una volta iniziato il consumo di cocaina o di altre droghe, avere problemi a
    interromperla o a ridurne l’uso, oppure smettere l’uso di cocaina per un periodo di
    tempo ( giorni, settimane o mesi) per poi ricominciare di nuovo.
    Ad esempio: non essere capaci di controllare quanta o quanto spesso si usa cocaina;
    usare alcol o sostanze in quantità maggiori rispetto a quanto previsto; promettere di
    smettere senza riuscirci; non essere capaci di mantenersi astinenti.
  5. Astinenza quando si riduce o si cessa l’uso di cocaina o di altre sostanze
    Ad esempio: stare male fisicamente quando si è cessato o si è ridotto l’uso di cocaina
    (avere tremori, nausea,orripilazione, rinorrea ); manifestare dei sintomi psichici quali
    depressione, ansia, agitazione; usare cocaina o altre droghe per evitare o interrompere i
    sintomi astinenziali. ( per esempio usare sostanze per prevenire l’astinenza , usare alcol o
    droghe per fermare i sintomi, una volta iniziati)
  6. Continuare ad usare cocaina o altre droghe. anche se queste stanno creando
    problemi alla propria vita
    Ad esempio: non ricorrere ad un medico, ad un terapeuta o ad un altro professionista
    per cessare l’uso di cocaina o di altre sostanze, nonostante questo sia un problema;
    perdere il lavoro o non essere capaci di trovarne un altro; farsi arrestare od avere altri
    problemi legali; avere problemi in famiglia o con gli amici; avere problemi finanziari.
  7. Rinunciare ad attività importanti o perdere amicizie per l’uso di cocaina o di altre
    sostanze:
    Ad esempio smettere di partecipare ad attività un tempo ritenute importanti, rinunciare ad
    amici che non usano sostanze, rovinare relazioni a causa dell’uso di droga.

Se pensi di presentare almeno tre di questi segni, allora è probabile che abbia sviluppato una dipendenza ed è consigliabile rivolgersi ad uno specialista psicologo o psichiatra specializzato nella presa in carico delle dipendenze.

Siamo cosi sicuri che l’allattamento non abbia niente a che fare con la sfera sessuale?

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Prendo spunto su una notizia di cronaca che ha fatto parecchio discutere negli ultimi giorni. Una mamma inglese di 44 anni, madre di 2 bimbi, allatta tuttora la figlia dell’età di sei anni e il figlio di 18 mesi.

La notizia è arrivata anche in America, dove il dibattito si è allargato, con i pro-allattamento ad oltranza e i contro e tra i sostenitori della mamma inglese, c’è stato anche una psicologa Kathleen Kendall-Tackett, che ha scritto a National Public Radio : «Ci sono tante persone che nei paesi occidentali sono state allattate fino a 3 anni o più. Non sono casi così rari. Si conoscono poco perché le madri che lo fanno sanno esattamente come vengono giudicate dalla società. Ci sono casi in cui alcune madri temono di essere accusate di “abuso sessuale.” Quando si sa che l’allattamento non ha nulla a che fare con la sfera sessuale».

Personalmente, come madre che ha allettato il proprio figlio fino a 13 mesi, come membro di un’associazione che promuove l’allattamento al seno (Lattemiele), come psicologa, mi permetto di dissentire, sull’ultima affermazione della Kendalll. Tackett, ovvero che l’allattamento non ha nulla a che fare con la sfera sessuale.

In primo luogo perché da un punto di vista psicodinamico, tutto è sessualità. Ovvero anche le primissime cure che la madre da al neonato, le coccole, i massaggi, sono stimolazioni che permetteranno al bambino di crescere sano e a suo agio con il proprio corpo, ovvero di investire in maniera erogena il suo corpo. I bambini non presi in braccio, coccolati, sono quelli che poi hanno sviluppato una forma di ospedalismo e di abbandonismo come quei casi osservati alla fine della didattura di Ceaucescu quando si sono scoperti casi di bambini molto carenzati negli orfanotrofi in Romania.

In questo senso, sin dalla nascita, c’è una componente sessuale, nel rapporto madre- bambino che però non è ancora colorato dall’aspetto dal desiderio. E’ il piacere corporeo della coccola. A sei anni, le cose sono bene diverse, il bambino ha già attraversato (o sta attraversando ) la fase edipica, ovvero un periodo in cui se è maschio fantastica di prendere il posto del papà nel cuore della mamma e se femmina sogna di sposarsi da grande con il padre e soppiantare la mamma. Credo quindi che se a quest’età, è ancora allattato potrebbe sentirsi onnipotente, e vedere in parte il suo sogno realizzato, ovvero di condividere con la mamma un intimità che normalmente è riservata al padre.

É per questo che il ruolo del padre nella crescita del bambino è fondamentale.

In effetti, nei primi mesi di vita, tra madre e bambino, si instaura una fusione, uno stato di estrema sintonizzazione della madre verso i bisogni del suo bambino. E quello che le consente di capire i suoi pianti e di anticipare i suoi bisogni. Questa fase, Winnicott psicoanalista inglese, l’ha chiamata preoccupazione materna primaria, e la definisce una “malattia” normale, perché è transitoria e utile al mantenimento in vita del piccolo. Con la crescente maturità del bambino, la madre si adegua e lascia sempre più spazio tra se e il figlio. In effetti quello che è necessario ad un neonato, una perfetta sintonizzazione, non lo è più con un bambino più grande, anzi gli impedirebbe di fare determinate tappe di sviluppo. Ed è in questi casi, quando per un motivo o per un altro, c’è una fatica ad uscire dalla simbiosi dei primi mesi, che il ruolo del padre è fondamentale. Lui è presente e apre il rapporto duale verso il rapporto al terzo. Il terzo è prima di tutto il padre, ma anche l’esterno, il resto della famiglia e poi la società.

In conclusione, non so se ci sia qualcosa di patologico nel caso della mamma inglese perché i vari articoli di stampa non ci consentono di farne un quadro psicologico, ma mi sembra restrittivo affermare che nell’allattamento non vi sia nessuna componente sessuale e questo qualsiasi sia l’età del bambino. Ovviamente, ribadisco che la sessualità va intesa in senso lato, cioè che alla nascita e nei primi mesi di vita, il contatto pelle a pelle, madre bambino favorisce l’integrazione e l’equilibrio corporeo del piccolo d’uomo.

Che cosa fa lo psicologo? Un corto animato lo spiega!

Condivido qui questo bellissimo corto che descrive molto bene il lavoro dello psicoterapeuta. L’empatia, la relazione terapeutica, il transfert,  descritti senza parole ma con delle bellissime immagini.

Mostra anche che neanche lo psicologo  è immune dalla sofferenza e che anche lui giova dell’aiuto di un terzo.

Illuminante!

Incinta e non saperlo: la negazione di gravidanza

deni grossesseGiungono ogni tanto sui notiziari notizie di donne che scoprono di essere incinte quando sono in preda ai dolori del travaglio e che partoriscono in breve tempo in casa o al pronto soccorso. L’ultimo caso a balzare agli onori della cronaca è quello della donna di Varese, madre di un bambino piccolo che ancora allattava, che ha scoperto di essere incinta quando stava già partorendo.

La domanda che sorge immediata è come sia possibile che una donna non avverta i segnali che indicano che è incinta, e come mai nessuno intorno a lei si accorga che una gravidanza è in atto. In effetti difficilmente una gravidanza riesce a passare inosservata. Ma è probabile che quello che è accaduto alla donna di Varese e a molte delle mamme che scoprono con estremo ritardo la propria gravidanza sia da attribuire ad un disturbo chiamato Negazione di gravidanza.

La negazione di gravidanza consiste nell’essere incinta senza esserne consapevole. Poiché la mente ignora la gravidanza, il corpo si sforza di nasconderla. Non va confusa con la gravidanza nervosa o le gravidanze nascoste. Nel primo caso, la donna desidera cosi intensamente un bambino che il corpo ne mostra tutti i sintomi allorché la donna non è incinta. Nel secondo caso, la donna sa di essere incinta, ma per alcune ragioni, cerca di nasconderlo a chi la circonda.

Nella negazione di gravidanza, la donna non sente nessuno dei segni abituali della gravidanza : il ciclo continua, non c’è aumento di peso, la pancia rimane piatta, le nausee del primo trimestre non si manifestano. Il corpo si adatta anatomicamente a questa gravidanza dissimulata : l’utero si posiziona diversamente. Anziché girarsi in avanti, si sviluppa in altezza. Per nascondersi, il feto si colloca sotto le costole della madre, con una presentazione podalica che rende la pancia meno sporgente . Inoltre i muscoli dell’addome non si allentano e la pancia rimane quindi completamente piatta ingannando cosi sia madre che famigliari. I movimenti del bambino vengono interpretati come se fossero dovuti a banali gonfiori. Inoltre sembra che il feto si muova meno o addirittura non si muova affatto quando è in atto una negazione di gravidanza.

Se la donna scopre di essere incinta prima del parto, attraverso una visita medica per esempio, è stupefacente scoprire come nell’arco di una notte la pancia che non si vedeva finora, esce all’improvviso. È importante sapere che non sono soltanto le donne alla prima gravidanza ad essere colpite dalla negazione di gravidanza, in realtà metà di queste donne sono già madri.

Qual è la causa della negazione di gravidanza?

Come mai la gestazione psichica non riesce ad effettuarsi ? Se la negazione è in psicopatologia un meccanismo di difesa che serve a proteggere l’Io di una realtà inaccettabile, di quale realtà si tratta? Può darsi che per quella donna questa gravidanza in particolare rimandi ad una realtà traumatica. Ce lo illustra la storia di Alexandra, la quale ha scoperto tardivamente la sua seconda gravidanza, a spiegare la negazione, c’è forse la perdita di due dei suoi cari nel corso della prima gravidanza, che le ha fatto associare gravidanza e morte. Altre donne hanno avuto un vissuto traumatico della propria nascita, un decesso legato alla gravidanza nelle generazioni precedenti, un gravidanza causata da una violenza sessuale.

Non ci sono ancora studi sul tipo di rapporto che viene instaurato successivamente tra madre e bambino. Ci vorrà del tempo prima che la donna riesca ad accettare questo bambino e questa maternità: per alcune donne settimane, per altre mesi, in cui le cure del bambino saranno lasciate al padre o verranno svolte in maniera meccanica. Ma prima o poi, qualcosa si sblocca, quando la madre riesce ad elaborare quello che non è stato pensato durante la gravidanza. Sophie Marinopoulos, psicologa, autrice del libro Nell’intimo delle madri, afferma :

“il legame madre bambino è una costruzione. Può essere malmenato inizialmente e trovare successivamente un equilibrio. Il tempo è quello che più aiuta in queste situazioni, insieme alla presenza di un terzo, benevole, disponibile ad aiutare, accompagnare e capire.”

Serve quindi un accompagnamento particolare per queste neo mamme da parte degli operatori di salute. E per questo che una maggiore conoscenza di questa problematica da parte dei professionisti sarebbe necessaria per permettere un’adeguata presa in carico di queste donne e del loro bambino.

4 ragioni per cui internet aumenta l’ipocondria: la cybercondria

L’ipocondria è una problematica nota, ma la facilità di accedere a informazioni mediche su internet favorisce l’emergenza di un nuovo fenomeno la cybercondria.

“Dottoressa, sono tre giorni che mi misuro la pressione e ce l’ho sempre alta, ho controllato su internet, anche se sono giovane può essere che abbia comunque bisogno di un farmaco?” “ Soffro di bruciore di stomaco, ho letto su internet che è uno dei sintomi del morbo di Crohn, sarà il caso che faccia degli accertamenti?”. Sono sempre di più i pazienti che incontro nel mio studio di psicoterapia ad Amelia (Terni), che vengono per un problema di ansia o di attacchi di panico, e che dopo essersi documentati su internet, iniziano a convincersi di avere questa o quest’altra patologia.

cybercondriaMa vediamo qual è sono le origini dell’ipocondria L’ipocondria è una maniera di « rappresentare l’angoscia, di legarla ad un oggetto, poiché un pericolo localizzato ed evidenziabile come un cancro è più facile da sopportare rispetto ad un pericolo costante e diffuso. Si può spesso ricostruire l’origine dell’ipocondria nella storia personale. Spesso chi ne soffre ha avuto delle carenze affettive precoci, un lutto, una separazione. Altri avevano genitori ansiosi o iperprotettivi che portavano i figli dal medico per motivi futili, generando in loro un sentimento di vulnerabilità e d’insicurezza verso il proprio corpo.

 

L’ipocondria potrebbe anche essere letta come una mancanza di autostima. Si sceglie la malattia, la quale è una forma accettabile di fallimento, per nascondere un sentimento profondo d’impotenza e di annientamento. Le angosce ipocondriache sono tra l’altro abbastanza frequenti nell’adolescenza e nella menopausa, perché questi periodi si rimette profondamente in discussione se stessi e la propria immagine.

 

Un fenomeno nuovo : LA CYBERCONDRIA.

L’ipocondria è la malattia più vecchia del mondo, poiché era già conosciuta dagli Antichi Greci, ma con l’avvento di internet potrebbe diventare il male del secolo. I numeri parlano chiaro: 7 persone su 10 controlla su internet prima di andare dal medico e 85 % degli italiani sarebbe andato almeno una volta su internet allo scopo di trovare informazioni mediche. Il fenomeno viene chiamato cybercondria: l’ansia generata dalle ricerche di salute in internet.

Perché internet favorisce l’ipocondria?

  1.  oggigiorno qualunque domanda ci poniamo, ne cerchiamo la risposta online: dal nome di un regista alla ricetta del piatto che vogliamo cucinare a cena. Internet accorcia i tempi, molto spesso è un aiuto valido. Poiché risponde a tutti i nostri quesiti, non c’è da stupirsi se lo utilizziamo anche quando abbiamo un dubbio sulla nostra salute.
  2. Le risposte che troviamo su internet sono spesso molto tecniche, tendiamo quindi a concentrarci maggiormente sui racconti che troviamo nei forum come doctissimo . Spesso però le storie che leggiamo anziché rassicurarci, sono fonte di preoccupazioni ulteriori. In effetti tendiamo a concentrarci maggiormente sulle descrizioni di casi gravi, con tante complicanze, che sulle storie a lieto fine.
  1. Paradossalmente, il peggiore nemico dell’ipocondriaco è l’eccesso di informazione. Se un soggetto si convince di avere una malattia, inizierà a presentare anche i sintomi che finora non aveva, ma che ha letto su internet. Facciamo un esempio, Paolo è convinto di avere i primi sintomi di una meningite: ha un torcicollo e un po’ di emicrania. Dopo essersi documentato sui segni della meningite, sente che la luce gli da fastidio e ne deduce che si tratta di fotofobia, altro sintomo della meningite. Ecco come un piccolo stato influenzale può prendere delle proporzioni allarmanti.
  2. L’assillo dei media: la televisione, la radio danno uno spazio sempre maggiore alle notizie che riguardano la salute. Cibi pericolosi, vaccini che provocherebbero l’autismo, prodotti che contengono sostanze pericolose , (ogm, paraben…), per non parlare delle grandi epidemie : influenza aviaria, H1N1, ebola, siamo continuamente tartassati da notizie che ci spingono ad andare a cercare delle delucidazioni online. Questa onnipresenza delle questioni di salute sui media è uno dei fattori che ha portato molti ipocondriaci potenziali, a diventare dei veri e propri ipocondriaci.

Come curare la cybercondria?

Una psicoterapia permetterà di capire le cause dell’ipocondria e di trovare i modi per combatterla, ma tuttavia seguire questi semplici consigli potrebbe limitare i comportamenti cybercondriaci.

  1. Nelle ricerche online, limitarsi nella scelta delle parole chiave a dei termini generici e evitare di associarle ad una patologia. Per esempio digitando « mal di testa » insieme a « tumore al cervello », è probabile che i risultati faranno pensare che i tumori sono una delle cause maggiore del mal di testa.
  2. Verificare la fonte dell’articolo, la sua data di pubblicazione e la certificazione che il sito aderisce all’ HONcode, una serie di linee guida proposte dalla fondazioneHealth On the Net ai siti web che trattano materie inerenti alla salute e alla medicina , che garantiscono all’utente, un certo livello di affidabilità e di imparzialità delle informazioni pubblicate;
  3. Finché la vostra malattia non è stata diagnosticata da un medico, evitate i forum di discussione, che contribuiranno ad aumentare il vostro disagio e le vostre paure. Vi si trovano soprattutto testimonianze di persone che stanno male e poche risposte ai propri dubbi.

Il mio bambino morde: cosa fare?

Molti genitori si preoccupano  quando si confrontano con  questo atteggiamento, che reputano anormale. Occorre tuttavia sapere che a quest’età il bambino che morde ha un comportamento normale, perché costitutivo del suo sviluppo psico-affettivo. È un modo di entrare in contatto con l’altro e di reagire di fronte ai divieti e quindi alla frustrazione.

Il fatto che si tratti di un comportamento normale non significa che non si debba intervenire e cercare di porre dei limiti al bambino. È anche molto importante  non dare giudizi sul bambino  come “Sei cattivo” ma insistere sul divieto legato al gesto del mordere, per mantenere la sicurezza di sé e la sua autostima.morso bimbo

Come genitore ed educatore, il nostro compito è di insegnare al bambino che è vietato mordere spiegandogli il perché. Occorre sottolineare il divieto e dire al piccolo  che in alcune situazioni è autorizzato ad essere arrabbiato, ma non può mordere.

Il genitore deve spiegare al piccolo che può mordere un oggetto, ma non una persona perché fa del male. E importante tenere presente che un conto è mordere un giocattolo (un comportamento ancora tipico per la fascia d’età) e altra cosa è invece dare un morso a un essere vivente. Questa differenza deve essere compresa bene anche dal bambino.

Il morso non è legato soltanto alla rabbia ma può anche essere l’espressione di un eccesso di emozioni che il bambino non sa ancora esprimere attraverso le parole. Si vedono spesso scene in cui bambini intorno all’anno di età abbracciano un altro bambino o un adulto e poi  lo mordono. Questi comportamenti disturbano  ma non sono anormali. Il bambino vive delle emozioni che non è  ancora in grado di gestire sia per quanto riguarda la sua maturità affettiva sia a livello linguistico. Per i genitori  quello che serve è aiutare il bambino mettendo delle parole alle sue emozioni, ribadendo il divieto. E anche importante  valorizzarlo quando fa bene qualcosa. E’ un modo per aiutarlo ad evolversi, a crescere e a socializzare.

In genere, se si opera in tal modo e si  cerca di non drammatizzare eccessivamente la situazione, questi comportamenti scompaiano abbastanza velocemente.

Se dura nel tempo e si accompagna ad altre manifestazioni di aggressività, occorre capire quello che sta succedendo. In quel caso, bisogna cercare di comprendere se il bambino sta vivendo qualcosa di difficile per lui in quel momento, se ci sono degli eventi che potrebbero turbarlo ( trasloco, gravidanza, nascita) e che potrebbero essere la causa di questo comportamento. Tuttavia, è necessario mantenere i limiti e continuare a marcare il divieto di mordere per aiutare il bambino ad evolvere e verbalizzare quello che prova. Può essere utile parlarne con il pediatra o uno psicologo.

Inoltre, possiamo aiutare il piccolo a capire meglio quello che sta vivendo insegnandogli a riconoscere le proprie emozioni attraverso dei libri adatti alla sua età.

Si possono anche proporre dei  giochi motori  (gioco con la palla, colpire un tamburello) i quali aiutano il bambino a spostare la sua aggressività scaricandola e utilizzando quest’energia in maniera positiva.

 

La depressione dell’anziano

anziana-sedutamueckLa depressione è diversa negli anziani ?

I sintomi di depressione più frequenti negli anziani sono la perdita di energia, una diminuzione dell’interesse per le attività del tempo libero, un aumento dei dolori fisici e delle perdite di memoria.

Chi è colpito?

Anche se la depressione non è sempre associata all’invecchiamento, un numero importante di persone anziane soffrono di depressione. Dai 15 ai 20% degli anziani presentano i sintomi di una depressione.

Quali sono i problemi associati alla depressione?

La depressione è un aggravante dei disturbi somatici dell’anziano, diventa per esempio più complesso riprendersi dopo una frattura del femore o un ictus. L’anziano è meno attivo e autonomo se è depresso e questo può favorire un decadimento fisico anticipato.

La depressione aumenta da due a tre volte il rischio di decesso nell’anziano ed è la maggiore causa dei suicidi in questa fascia di età.

Perché la depressione dell’anziano viene spesso sottovalutata e/o non trattata ?

La depressione può essere difficilmente diagnosticata negli anziani, perché sono poco disponibili a parlare dei loro sintomi ed gli è difficile riconoscere che provano una sofferenza psicologica, e si aprono di più sui sintomi fisici.

Quali sono le cause della depressione nell’anziano ?

Alcuni anziani depressi hanno già avuto un episodio depressivo e altri affrontano la depressione per la prima volta nella terza età. I fattori di rischio sono gli stessi della popolazione adulta in generale. I fattori che possono favorire l’insorgere di una depressione nell’anziano sono la perdita di controllo o di autonomia a seguita di una malattia o di un invalidità oppure un crescente isolamento sociale.

Trattamento della depressione nell’anziano

I trattamenti per lottare contro la depressione hanno la stessa efficacia negli anziani che nella popolazione generale. La psicoterapia, gli psicofarmaci, i gruppi di sostegno sono alcune delle soluzione per curare i sintomi depressivi. Tuttavia, la presa in carico degli altri disturbi somatici quali il dolore cronico che coesistono con la depressione non deve essere dimenticato.

La psicoterapia nell’anziano

Diversamente da quanto Freud e i suoi discepoli hanno affermato a lungo, non è mai troppo tardi per iniziare una psicoterapia. Freud considerava che dopo i 50 anni, era troppo tardi, gli anziani erano secondo lui troppo poco malleabile. Invece sembra che sia vero il contrario, poiché gli anziani che intraprendono una terapia sono spesso molto motivati, sono consapevoli che il tempo a loro disposizione è prezioso, e non vogliono sprecarlo.

Sono sempre di più le persone ultrasettantene che approdano agli studi degli psicologi. Nella mia attività di psicologa ad Amelia, mi trovo sempre più spesso ad accogliere richieste di sostegno da parte di soggetti anziani. Spesso sono i figli, i quali sono ormai abituati al ricorso allo psicologo, ha proporli un trattamento psicoterapeutico e a facilitare l’accesso.

La psicoterapia del soggetto anziano non è diversa della psicoterapia di un giovane adulto.

Si dedicherà pero un tempo iniziale alla valutazione delle capacità cognitive.